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Idillio L’Infinito

o da tutti percepito, sino ai nostri giorni (ricordiamoci che L’Infinito a detta di ogni sondaggio è considerato la poesia più amata dagli italiani e di sicuro la più studiata, in età moderna). Il viaggio di una carta Rimasto a lungo tra le carte recanatesi, con tutta probabilità nella parte di archivio che porteranno con sé Carlo Leopardi e la moglie Teresa Teja, il manoscritto non uscirà mai fuori dai confini marchigiani. Seguire i passaggi storici accuratamente documentati dalla Melosi, dandone conto in poche righe, non è cosa facile, per cui rimando senz’altro alla lettura integrale dell’articolo della Rassegna. Mi basti qui segnalare le tappe salienti del viaggio di questa carta, miracolosamente salvata dall’oblio. Il punto di partenza è ovviamente il destinatario della missiva, cui viene mandata, il Priore di S. Vittoria, piccolo borgo in provincia di Fermo. L’invio di questo prezioso autografo intorno agli anni ’60 si collega alla generazione dei nipoti di Giacomo, ovvero ai due figli di Pierfrancesco Leopardi (1813-1851), Giacomo e Luigi, di cui divennero tutori Paolina e il fratello Carlo, essendo diventati orfani tra il 1851-’52. Nel 1860 Luigi Leopardi esce dal Collegio, con l’obiettivo di avviarsi alla carriera militare. Il Memoriale di Teresa Teja testimonia dei tentativi familiari verso personaggi influenti perché possano appoggiare e raccomandare il giovane Leopardi. Nella vicenda giocherà un ruolo centrale Federico Matteucci, legale di casa Leopardi in associazione a lungo con Pietro Pellegrini, nome ben noto agli studiosi leopardiani in quanto curatore insieme a Pietro Giordani degli Studi filologici leopardiani (Firenze, Le Monnier, 1883). Fu il Matteuci a tessere le fila di questo tentativo, in finale non riuscito, di immissione nella carriera militare del giovane Luigi, al cui scopo si poteva ben destinare un prezioso cimelio, con il consenso ovviamente di Carlo e Teresa Teja. La prassi di donare autografi leopardiani è cosa ben nota agli studiosi leopardiani, coinvolse Paolina e il fratello Carlo che per anni offrirono agli amanti del poeta fogli provenienti dall’archivio. In una lettera pubblicata qualche anno fa (Teresa Teja Leopardi, Lettere agli amici pisani, 1999), Carlo e Teresa scrivono nel maggio 1869 (non lontano dagli anni di invio del presente autografo) all’Avv.to Felice Tribolati: “non vi è cosa che io tema più del debito, eppure mi accorgo di essere sempre debitore verso di Lei sotto ogni rapporto. Né può essere diversamente essendo inesauribile tanto la sua gentilezza quanto la sua produzione in parti d’ingegno…Io non posso che ricorrere a qualche reliquia di mio fratello, di cui il fondo è presto finito. (…)”. Dunque alle presumibili pressanti richieste da parte degli estimatori di Giacomo, sia Carlo che Paolina risponderanno attingendo (sempre con moderazione e a ragion veduta) al fondo di carte leopardiane. Questo è quel che accadde anche al presente autografo che, per vie ben documentate nell’articolo, farà poi ritorno tra le carte dello studio Matteucci, dove venne diligentemente protocollato come si legge al verso dell’autografo. Dalle carte Matteucci finì successivamente in quelle di una nobile famiglia maceratese, anch’essa imparentata coi Leopardi, sino a giungere nelle mani dell’attuale collezionista, fino a che l’occhio attento di alcuni studiosi non ha acceso i riflettori sul prezioso documento sino a riportarlo alla luce, in tutto il suo splendore oggettivo e ideologico. Interminati spazi sovrumani silenzi: “un infinito commento” è il titolo di una raccolta di recente uscita sulla lettura critica dell’idillio leopardiano, una delle tante sul testo di sicuro più studiato della nostra letteratura italiana. Quanto abbia contribuito a formare generazioni di poeti dentro e fuori l’Italia, oltre che generazioni di italiani, non spetta a me dirlo. Questo testimone non aggiunge nulla di nuovo rispetto a quello che gli studiosi sanno su L’Infinito, e a quello che ogni lettore sente dinanzi a questa poesia. Forse però serve a ricostruire un passaggio nella sua genesi/trasmissione, ad intravedere una prassi poco nota (se verrà confermata dai leopardisti) di un Giacomo attento alle sue carte, nello stratificarsi del pensiero poetico, e alla loro preservazione. Forse non pensava ai posteri, o forse sì: questo foglio venuto dal passato ci aiuta a capire meglio quel passato e il nostro presente, ricollocando quel gesto in una luce autentica, nel desiderio così umano di ogni scrittore di lasciare memoria della propria scrittura.

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