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Manoscritto - Francesco di Felice - Napoli

S. Vincenzo Ferreri. Opera Sacra di Notar Francesco Di Felice dell’Anno 1555

Manoscritto cartaceo di 80 cc., 1555 circa, mancante la c. 25 bianca, in 4° di 140 x 200 mm., scritto da un’unica mano in posata corsiva cancelleresca, carta filigranata napoletana del XVI sec., strappi alle carte finali 78-79 con piccola perdita di testo, bruniture e alcuni fori di tarlo, legatura coeva in assi ricoperti di pelle marrone con impresso a secco stemma nobiliare recante sull’arma un levriero rampante.

€ 3.000 - € 4.000

Lot not sold

Notes:
Straordinario manoscritto di una commedia inedita in tre atti, opera del Notaio Francesco Di Felice, centrata sulla figura di S. Vincenzo Ferrer, o anche Ferreri, in valenziano Vicent Ferrer, (Valencia, 23 gennaio 1350 – Vannes, 5 aprile 1419), che fu un religioso e predicatore apocalittico del Regno di Valencia, appartenuto all'ordine dei Domenicani. Commedia davvero interessante, a sfondo sacro ma connessa con una vicenda d’amore che conosce la forma della perdizione e della salvezza. In un contesto letterario fluido, si alternano le varie forme dell’italiano, del napoletano e del calabrese, gli idiomi parlati dai vari personaggi in scena, tutti presi dal vario avvicendarsi degli eventi che, esposti in forma poetica, coinvolgono vicende umane, problemi morali e sociali, teologici ed etici. Al centro la storia d’amore tra il giovane Fiorliso e la meretrice Bellalba, una passione violenta alla quale il figlio del ricco mercante Guglielmo, che vede dilapidare il patrimonio accunulatosi nel tempo per l’unico suo figlio, non riesce a resistere. Da Valencia a Vannes in Bretagna, dove è ambientata la commedia, si snoda dunque la vicenda amorosa dei due protagonisti, che sono attorniati da una schiera di intriganti personaggi di contorno: dal vecchio, avaro Guglielmo alla serva napoletana Iacovella, dai due marinai Scatozza e Pacicco che parlano esclusivamente in napoletano, all’oste calabrese Colafetecchia, che si esprime in un incomprensibile dialetto calabrese. Su tutte si stagliano le nobili figure di San Vincenzo e del suo compagno Fra Raffaele, attraverso la cui salvifica mediazione si risolveranno i conflitti e si giungerà alla sconfitta del demonio, onnipresente e spesso partecipe sotto varie sembianze, vittoria sugellata dalle ultime strofe recitate dall’Anima di Vincenzo ormai assurta in Gloria. Ogni atto si compone di 28-30 scene ed è ambientato a Vannes, come si legge ad inizio opera. A titolo d’esempio, si legga la delicatezza di questa canzone iniziale dei due pescatori napoletani: “Si a la rezza trase lo pesce/zompa, e sguilla, e fore no’ esce,/ Votta compare, / turche so a mare,/ Mena sso rimmo,/ Ca quanto primmo/ Zavaramiento volimmo arrevà/ Si po’ ngappa alo mastrilio / chiu non scappa lo soucilio/ scioscia lo viento, / stammoce attiento,/ spannimmo tela,/ facimmo vela, / ca lo puorto volimmageghia.”//. Del tutto incomprensibile ma di grande fascino etno-linguistico, il dialetto calabrese di Colafetecchia, che compare alle pp.38-40. Un documento letterario, artisticamente valido ma soprattutto intrigante dal punto di vista linguistico e etnologico, che aiuta a capire, in incipiente età controriformistica, il valore della passione amorosa e dei rapporti sociali che essa discute e mette in gioco.

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Lot number 423, Books Autographs and Prints &8211 Auction 98


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