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Ungaretti, Giuseppe
Imponente corpus di manoscritti di Giuseppe Ungaretti: circa 630 carte raccolte ordinatamente in cartelline bianche, suddivise in sezioni nominate con lettere dell’alfabeto; insieme una fitta corrispondenza con scrittori e intellettuali, per un totale di 170 pp. circa.
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Note:
Giuseppe Ungaretti, ovvero il Nobel della letteratura mancato. Giuseppe Ungaretti, ovvero la storia della poesia del Novecento, la SOLA ragion d’essere di una Poesia novecentesca che senza la sua produzione semplicemente non sarebbe esistita. Qui, si presenta il più vasto archivio ungarettiano mai ncomparso sul mercato.
Una produzione che inizia precocemente nel 1916, nel segno della poesia assoluta de Il Porto Sepolto, per attraversare tutto il secolo sino alla raccolta finale Vita d’un uomo del 1969. Un percorso che qui, tra le carte che proponiamo, si estende in tutta la sua ampiezza, perché questo non è un archivio qualunque: raccoglie testimonianze poetiche e critiche che si estendono per decenni, sino all’ultimissima produzione. Il tutto nel segno di un’infaticabile energia produttiva, che lo spinse anche negli ultimi decenni a perseguire con fermezza il suo progetto “editoriale”: circoscrivere con la scrittura la realtà a lui circostante, leggendo con sguardo ogni volta nuovo il presente, spesso affiancato da validi compagni di strada.
E’ difficile rendere conto della vastità del materiale qui presentato, forse solo uno sguardo cursorio che saltelli da un fascicolo all’altro può dare una vaga idea di quale inesplorata miniera si nasconda tra queste carte. Il primo fascicolo si apre con la prolusione che tenne in occasione del conferimento della Laurea ad honorem a Umberto Saba (1953). Ma poi segue una carta con una lunga riflessione sulla natura della poesia: “Ho già osservato nella precedente mia lettura, che secondo l’aspetto di continuo diverso dei tempi e, d’attimo in attimo in contrasto con essi, la vera poesia si modifichi per manifestare l’universale della bellezza, incessantemente si modifichi…”. Si susseguono brevi fascicoli di note su Pea, su Gadda (5 pagine bellissime, che iniziano: "Sono qui a testimoniare tanti anni di amicizia con Gadda e tanti anni di crescente ammirazione…") e altri, per poi scorrere verso più umane e profondissime riflessioni, nel fascicolo che inizia a c.17: “Tutte le cose del mondo, e la vita nostra, sono precarie, e lo furono sempre, e in questa nostra infelicità, nella sorte umana di dolore, il primo Leopardi vedeva la prova dell’immortalità dell’anima. Non dico che non ci siano nel mondo momenti di gioia, non dico che l’uomo non si sforzi, nel lungo dramma della sua storia, di accrescere la felicità terrena, ma non è il parto indolore, e non sarà la maggior giustizia finalmente instaurata nell’umana società, ad abolire nel vivere dell’uomo, il dolore. (…)". Il fascicolo successivo reca un titolo ambizioso ma all’altezza di Unga: “L’ambizione dell’Avanguardia. Il progresso irrefrenabile della Scienza e, in particolare di uno dei suoi mezzi maggiori: la macchina. Tocca esso l’arte del poeta? Chiamo poeta qualsiasi artista – scriva versi o prosa, costruisca palazzi, scolpisca, dipinga o componga musica – che raggiunga l’altezza di forma capace nei suoi effetti a muovere negli animi poesia. E’ implicita, nel progresso della scienza, un’ispirazione poetica? (…)”. I fogli si alternano senza un apparente ordine, ma forse un ordine c’era nella mente di Unga, una sequenza che a noi non è data vedere. Il foglio 61 inizia così: “Innocenza e memoria, certo ancora; ma non più come un contrasto, ma come sviluppo stesso dell’ispirazione fra i suoi due termini estremi. Da quella lenta cristallizzazione che è in noi il senso della Memoria, da quello spaccarsi e precipitarsi della memoria che è in noi il senso del rimorso a quel nostro ributtarsi indietro dove l’infanzia umana è alle sue origini angeliche, ecco: fra due apparizioni sorge la poesia d’oggi! (…)”. Girando pagina si scopre un foglio a firma Prezzolini, indirizzato a Ungaretti, dove la colonna sinistra è occupata dalla trascrizione di una poesia che Unga aveva inviato a Prezzolini dall’ospedale militare di Biella, dal titolo Viavai. Chiede l’autorizzazione a pubblicarla, se non fosse già edita.
Gli altri fascicoli contengono ancora appunti, note, riflessioni, testi preparatori di lezioni, forse articoli o saggi critici probabilmente inediti. La sua penna verde e la sua scrittura così fortemente inclinata sono lo stigma riconoscibile del cursus del suo pensiero: un ondeggiare senza un vero centro, un oscillazione continua tra poesia e pensiero, tra ispirazione e riflessione, tra immagine e logos. Nella terza cartellina, alle carte 5-6, si apre una riflessione sulla poesia e i giovani: "Da quando ero il loro coetaneo, circa sessant’anni fa, mi sono sempre avvicinato ai giovani, considerandoli quasi miei maestri, rinnovandomi via via, ciascuna volta, interrogando le ansie e i tentativi delle generazioni, nuove venute nel campo dell’arte. La poesia, l’ho imparato bene attraverso la mia lunghissima esperienza personale messa a confronto con esperienze diverse, non solo per diversità di generazione, ma per diversità anche di paese – la poesia è tutto, ed è nulla. La poesia è l’unico mezzo posseduto dall’uomo per lasciare un segno delle singolarità d’un momento storico, in tutti i suoi rapporti. In quelli sociali, beninteso; ma la poesia non ha fini didattici (...)."
Commovente il ricordo di Giuseppe De Robertis, datato Roma 25 gennaio 1964: "Non riesco a immaginare che Giuseppe De Robertis non sia più fra noi, e solo me ne rendo conto per un’accresciuta mia disperazione. Il nostro dialogo era incominciato all’uscita del Porto Sepolto, una sera a Firenze nel 1916,. Il suo consiglio premuroso poi mi seguì sempre, e lo sollecitavo e la mia poesia si sviluppava alla luce del suo giudizio…Se essa ha qualche splendore fu perché il loro [anche quello di Alfredo Gargiulo, n.d.a.] affetto illuminato mi guidò e mi sostenne. (…)”.
Ho spiluccato in questa breve selezione solo alcuni lacerti tratti dai primi due-tre fascicoletti: ce ne sono 13, per complessive 630 carte circa! Prosa e poesia si alternano incessantemente, in un continuo rimando di richiami inter/intratestuali da affidare alle cure di studiosi corazzati.
Concludo quella che non vuole essere la descrizione di un lotto, così immensamente non circoscrivibile, con la trascrizione di parte di una delle più toccanti lettere dell’epistolario, quantomeno per la drammaticità della situazione.
Pasolini scrive ad Ungaretti, da Roma il 25 giugno 1956:
“Carissimo Ungaretti,
il 4 luglio ho il processo a Milano. [si tratta del processo a Ragazzi di vita, per oscenità e pornografia, n.d.a.] Sono almeno dieci giorni che mi avvicino all’apparecchio per telefonarle, e ci rinuncio sempre, scoraggiato dalle richieste che Le devo fare. [...] Devo chiederLe se può venire su a Milano quel giorno a farmi da testimone: Suoi compagni di sventura sarebbero Schiaffini e Contini ( Al ritorno potremmo passare dal Forte, a salutare gli amici che sono là, De Robertis, Bertolucci…e se sarò assolto, festeggiare l’assoluzione.) Ecco dunque scritto il programma che non ho avuto coraggio di dire a voce. Penso che non ci sia bisogno ora, con lei, di ricorrere alla captatio benevolentiae, alla peroratio. Questo processo mi ha così umiliato e depresso in questi mesi che non sono più riuscito a lavorare al nuovo libro; [...] Non posso che dirLe che spero molto nel Suo entusiasmo e nella Sua generosità, e ripeterLe che sono infinitamente addolorato per questa mia coazione. Mi perdoni. E riceva i più affettuosi saluti dal suo dev.mo. Pier Paolo Pasolini. Roma 25 giugno 1956.”
Ungaretti non si farà certo pregare, e invierà ai giudici una toccante lettera dove afferma:
“Ho letto Ragazzi di vita, e stimo sia uno dei migliori libri di prosa narrativa apparsi in questi anni in Italia. […] Questa mia convinzione l’ho dimostrata sostenendo il romanzo prima per il premio Strega, poi per il premio Viareggio, […]. Le parole messe in bocca a quei ragazzi, sono le parole che sono soliti usare e sarebbe stato, mi pare, offendere la verità, farli parlare come cicisbei”.
Pasolini, ovviamente, verrà assolto. Ma c’è chi in Italia non assolverà mai Ungaretti per i suoi presunti trascorsi politici e lo condannerà a non ricevere quel premio Nobel che meritava più di chiunque altro, con tutto il rispetto per Eugenio…Queste carte, se ce ne fosse ulteriormente bisogno, rendono merito all’uomo e allo scrittore che più di ogni altro ha segnato, con l'inconfondibile inchiostro verde della sua scrittura, la poesia del Novecento...e dunque la nostra stessa esistenza.
1900
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