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Carl Borromäus Andreas Ruthart, detto Carlo Ruttardo (Danzica 1630? - L'Aquila post 1703)
olio su tela, cm 200 x 320, senza cornice
€ 20.000 - € 30.000
Venduto per € 30.000
Note:
Orfeo, dopo aver tentato invano di riportare Euridice viva dall’Ade, tornò sulla terra disperato: secondo Virgilio pianse per sette mesi, secondo Ovidio per sette giorni, e poi diede fondo a tutte sue le abilità di musicista incantando le fiere e animando gli alberi con la sua musica. Il tema di Orfeo che incanta gli animali ricorre in Occidente sin dalla vasta casistica di mosaici romani, e ritrova una forte ripresa tra Quattro e Cinquecento. Antonio Tempesta produsse entro il 1630 una nota stampa, e a Genova lo stesso Sinibaldo Scorza si misurò con la storia di Orfeo (cfr. Sinibaldo Scorza. Favole e natura all’alba del Barocco, catalogo della mostra, Genova 2017, a cura di A. Orlando, passim).
Il presente dipinto mostra una tela a trama spessa preparata con terra bruna, estesamente usata per il chiaroscuro sia negli animali, sia nel fondale arboreo sul lato destro, che è genericamente esemplato sulle invenzioni più tarde di Salvator Rosa. Orfeo è al centro della scena tra una miriade di animali, alcuni dei quali non selvatici: un gatto, un levriero, un bue e un cavallo. Tutti gli animali sono visti in una stasi che al tempo stesso esprime il loro incanto sotto l’effetto della musica di Orfeo e palesa l’utilizzo di modelli dal vero, ricombinati in studio nella vasta composizione. I raffronti più efficaci per inquadrare l’autore sono in favore di Carl Borromäus Andreas Ruthart. Dopo il suo trasferimento in Italia, caratterizzato da spostamenti tra Roma, Firenze, Venezia e ancora Roma, verso il 1670 Ruthart assunse i voti religiosi come frate Celestino. Spostatosi a L’Aquila, realizzò un ciclo di Storie di San Pietro Celestino ed altri esponenti dell’Ordine Celestino per l’Abbazia di Collemaggio, e varie altre opere per differenti destinazioni (per un recente sommario su Ruthart cf. G. e U. Bocchi, Carl Borromeus Andreas Ruthart detto Carlo Ruttardo, in Pittori di natura morta a Roma. Artisti stranieri 1630-1750, Castello Viadana 2004, pp. 99-115).
La tecnica e lo stile del dipinto in discussione sono propri delle opere italiane di Ruthart. Il cervo di profilo alla sinistra di Orfeo scaturisce dal disegno dello stesso dettaglio in Adamo dà nome agli animali a Louisville, Speed Art Museum (fig. 1, dettaglio), e nei Cervi, capre e volatili in un bosco a Firenze, Gallerie Fiorentine, Palazzo Pitti (fig. 2, dettaglio) (n. inv. 120464, en pendant con Un cervo atterrato da animali feroci, n. inv. 120465). La leonessa che fissa lo spettatore in basso al centro è una variante dello stesso animale in Animali selvatici in una gola di montagna a Stoccolma, Nationalmuseum (fig. 3, dettaglio). La scimmietta sorridente a sinistra di Orfeo torna con poche varianti nello stesso dettaglio della Pazzia di Nabuccodonosor siglata, passata presso Dorotheum, Vienna, 21 aprile 2018, lotto 102. Il leone che entra da destra nella composizione è riconducibile allo stesso modello di una delle Storie di San Pietro Celestino a Collemaggio (fig. 4, dettaglio). Più in generale, molti elementi del dipinto sono raffrontabili alla serie di studi preliminari di Ruthart provenienti dalla collezione dei marchesi Strozzi (Firenze), e dispersi in asta da Christie’s a Londra, 20 maggio 1993. Sembra perciò plausibile che il presente dipinto vada inscritto nella lunga fase aquilana della produzione di Ruthart, in cui l’impiego di un supporto romano/napoletano e l’accentuazione dei chiaroscuri si pongono nell’alveo della pittura meridionale del secondo Seicento.
Riccardo Lattuada
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