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Camillo Innocenti (Roma 1871 - 1961)
olio su tela, cm 174,5 x 121,5
firmato in basso a destra: INNOCENTI
Sul retro: sulla tela, cartellino a stampa della Prima Esposizione Artistica Italiana in Pietroburgo con titolo (“In chiesa” Campagna Romana), prezzo (£ 3000), firma e domicilio dell’autore di mano dell’artista; sul telaio, due timbri della dogana di Roma, recanti rispettivamente le date 3 marzo 1897 e 18 gennaio 1898.
€ 50.000 - € 80.000
Lotto non venduto
Note:
ESPOSIZIONI:
San Pietroburgo, Prima Esposizione Artistica Italiana di Pittura e Scultura in Pietroburgo, 1898;
Roma, LXXIII Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di Belle Arti, 1903;
Roma, Società degli Amatori e Cultori fra Otto e Novecento, 1998;
Bruxelles, Roma, Livorno, Luce e pittura in Italia 1850-1914, 2002-2003;
Roma, La Campagna Romana de “I XXV”, 2005.
BIBLIOGRAFIA:
P. Spadini, L. Djokic (a cura di), Società degli Amatori e Cultori fra Otto e Novecento, Roma 1998, pp. 46-48;
R. Miracco (a cura di), Luce e pittura in Italia 1850-1914, Milano 2003, p. 142;
N. Cardano, A. M. Damigella (a cura di), La Campagna Romana de “I XXV”, Roma 2005, n. 15, pp. 76- 77;
M. Occhigrossi, P. Bertoletti (a cura di), Il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Anticoli Corrado, Subiaco 2006 (ripr. in copertina).
La grande tela intitolata Al Divino Amore rappresenta uno dei vertici della produzione giovanile di Camillo Innocenti. L’opera è databile entro i primi del 1897 grazie al terminus ante quem fornito da due timbri della dogana di Roma impressi sul telaio, il più antico dei quali risalente al 3 marzo del 1897. Celebrazione di una romanità popolare non priva di intenti antropologici (l’artista era in contatto con Michetti e d’Annunzio1 negli anni del sodalizio con l’antropologo Antonio De Nino), il dipinto è ambientato nel Santuario della Madonna del Divino Amore, piccola chiesa isolata nella campagna romana allora molto in voga tra i fedeli del ceto rurale. I caratteristici ex voto in argento rappresentanti il sacro cuore, raffigurati agli angoli in alto, sono gli unici elementi riconducibili alla chiesa.
Dopo i primi studi accademici sotto la guida del “nazareno” Ludovico Seitz, Innocenti diresse il suo sguardo curioso in direzione dei grandi maestri italiani a lui contemporanei (Domenico Morelli, Francesco Paolo Michetti e Antonio Mancini soprattutto), dimostrando al contempo una vivace attenzione nei confronti degli sviluppi dell’arte fuori dai confini nazionali. Il risultato di tali suggestioni emerge con chiarezza nell’opera in esame, in cui il soggetto di genere, tratto dall’immaginario di un folclore di provincia, è risolto con spiccata modernità già a partire dalla composizione, orchestrata con originale taglio fotografico. Moderna è anche la tecnica pittorica, che rivela l’adesione al materismo di Antonio Mancini, a cui Innocenti si ispira nella resa di alcune zone particolarmente dense di colore, che appaiono quasi in rilievo. Nella sua autobiografia, pubblicata a Roma da Pinci nel 1959, l’artista torna indietro con la memoria agli anni Novanta dell’Ottocento per ricordare il periodo della frequentazione dello studio di Mancini, documentando così in prima persona l’influenza esercitata su di lui dalla pittura del maestro romano: «appena cominciammo a vedere le pitture di Mancini noi giovani perdemmo addirittura la testa. A me si unirono le sgridate in casa di mio padre e di mio fratello maggiore che mi rimproveravano di correre dietro a un pazzo. Io mandavo giù, ma non cambiavo giudizio. Andavo a vederlo in uno studiolo che aveva fuori di Porta del Popolo […] era talmente forte la suggestione della sua pittura che tutti noi giovani eravamo divenuti imitatori senza riuscire, naturalmente, mai avvicinarci anche un tantino alla potenza e alla vivezza della sua arte. Ma lo copiavamo nell’acconciare un modello, nella scelta di un colore»2.
La derivazione manciniana delle tele giovanili di Innocenti si rivela talvolta anche nelle scelte iconografiche e compositive, soprattutto per ciò che concerne la rappresentazione di soggetti popolari con l’impiego di modelli locali, come appunto in Al Divino Amore. Per la monumentale figura maschile, infatti, l’artista si servì di uno dei più noti modelli di Anticoli Corrado, borgo non lontano dalla Capitale divenuto celebre tra pittori e scultori a partire dalla fine dell’Ottocento per la bellezza quasi esotica dei suoi abitanti. Si tratta di Bernardo Toppi (fig. 1), modello di professione insieme a suo fratello Francesco (suocero di Amedeo Bocchi, sposatosi con la figlia Nicolina), entrambi detti “longoni” per la loro insolita altezza. Anche le sue figlie furono modelle, tra le più famose dell’Italia del primo Novecento, e andarono in spose ad artisti di successo3: Candida sposò Pietro Gaudenzi, Natalina fu moglie di Attilio Selva, e così via. Abbandonata la vita nei campi, Bernardo si trasferì a Roma per recarsi quotidianamente in via Margutta 47 presso la “Società della Pipa”, dove si tratteneva in attesa di essere ingaggiato dai più importanti artisti del tempo per una sessione di pose. Tra i numerosi artisti che lo ritrassero, oltre ad Innocenti, vanno ricordati Giulio Aristide Sartorio, Francesco Paolo Michetti e Cesare Maccari.
Al Divino Amore fu presentata con il titolo In chiesa “Campagna romana” alla Prima Esposizione Artistica Italiana di Pittura e Scultura in Pietroburgo, grande mostra inaugurata a San Pietroburgo il 9 marzo del 1898 con l’auspicio del governo italiano, l’alto patronato della granduchessa Maria Pavlovna e la presidenza dell’Ambasciatore d’Italia in Russia. Il pittore aveva già esposto con successo i suoi dipinti in alcune importanti rassegne internazionali, come la Große Berliner Kunstausstellung (1894, 1896). Proprio il 1898 è un anno cruciale per la carriera di Camillo Innocenti. Premiato dal maestro Domenico Morelli per il dipinto Il giuramento di Pontida (fig. 2), si aggiudicò il pensionato artistico nazionale, borsa di studio quadriennale – istituita nel 1891 da Pasquale Villari – che gli permise un soggiorno di studio in Spagna, fondamentale per l’evoluzione della sua pittura.
L’opera fu poi ripresentata nel 1903 alla mostra annuale della Società degli Amatori e Cultori – quell’anno alla sua prima edizione dichiaratamente “internazionale” grazie alla nuova direzione artistica del conte Enrico di San Martino – insieme ad altri quattro dipinti4, tra cui va segnalato Chioggiotte (fig. 3), opera dalla sensibilità poetica affine al dipinto in esame, realizzata anch’essa al volgere del secolo. Ancora nel 1903 Innocenti esordiva alla Biennale di Venezia5, alle cui successive edizioni avrebbe avuto un ruolo di assoluto rilievo 6, riscuotendo un successo travolgente che si interruppe solo con la cesura drammatica della prima guerra mondiale.
Manuel Carrera
Il dipinto è soggetto a notifica da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 22 Gennaio 2004.
1Cfr. M. Carrera, Camillo Innocenti prima della Secessione: incontri e scambi tra arte e letteratura, in M. Carrera, J. Nigro Covre (a cura di), Secessione romana 1913-2013: temi e problemi, Roma 2013, pp. 41-51.
2C. Innocenti, Ricordi d’arte e di vita, Roma 1959, pp. 55-56.
3Per un approfondimento, si veda M. Carrera (a cura di), Le muse di Anticoli Corrado: ritratti e storie di modelle anticolane da De Carolis a Pirandello, Roma 2017.
4Gli altri dipinti erano Arianna, Plenilunio, Maestrale e Chioggiotte. Cfr. il catalogo della mostra, LXXIII Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di Belle Arti, Roma 1903.
5L’artista esordiva esponendo tre dipinti: Aurora, La prima luce e il lavoratore della terra e Ritratto. Cfr. V Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia, Venezia 1903, p. 130, nn. 14-16.
6Nel 1909 l’artista ebbe una personale presentata da Ugo Ojetti, dove espose con grande successo venti dipinti in una sala a lui interamente dedicata. Si veda U. Ojetti, Mostra individuale di Camillo Innocenti, in VIII Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia, 1909, Venezia 1909, pp. 79-82.
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