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Jacopo Vignali (Pratovecchio 1592 - Firenze 1664)
olio su tela, cm 180 x 228
REFERENZE:
Fototeca Federico Zeri, busta 0530; fasc. 3; scheda 53017, con attribuzione a Jacopo Vignali o copia, collezione privata, Roma.
€ 50.000 - € 80.000
Lotto non venduto
Note:
Questo importante dipinto fiorentino raffigurante l’episodio veterotestamentario dell’“Asina di Balaam e l’Angelo”, è da attribuirsi a Jacopo Vignali, come ci conferma il prof. Sandro Bellesi, cui siamo grati per l’autorevole parere.
Come spesso accadeva presso i maggiori maestri, anche in questo caso ci troviamo di fronte a una versione, di qualità pittorica decisamente alta, di una composizione che Vignali dovette replicare almeno altre due volte.
Già Federico Zeri aveva assegnato a Vignali il presente dipinto, contrassegnandolo con una notazione che lo definiva, eventualmente, come possibile copia.
Un secondo esemplare con la medesima composizione, di dimensioni inferiori, stimato da Zeri come autografo, risulta già presente in collezione privata fiorentina e proveniente dal mercato antiquario di New York.
Infine, si trovava originariamente nella Villa Gerini a Sesto Fiorentino un’ulteriore replica, la terza nota, già di proprietà della Cariprato, in seguito acquisita nella raccolta della Banca Popolare di Vicenza, dove attualmente si trova; esposta da ultimo a Palermo, nel 2015 - 2016, in occasione della mostra “Capolavori che si incontrano, Bellini Caravaggio Tiepolo e i Maestri della pittura toscana e veneta nella collezione Banca Popolare di Vicenza”, quest’ultima versione, rispetto alla nostra, si direbbe meno nitida nei dettagli.
Ricordiamo inoltre che Franca Mastropierro, nella monografia di riferimento su Jacopo Vignali, fa menzione di questo soggetto tra le opere di ubicazione sconosciuta e la dice eseguita dal pittore “per Giulio e Lionardo del Riccio” (manoscritto Oretti, 274).
La scena qui rappresentata, rara in generale e curiosamente bizzarra, si caratterizza per attingere da una fonte biblica densa di mistero e di spiritualità.
L’episodio è tratto dal Libro dei Numeri XXII, 21-35, dove si narra come Balak re di Moab, intimorito dalle tribù israelitiche che andavano accampandosi presso il suo territorio (Numeri, XXII, 2) inviò propri messi presso Balaam, inquietante e singolare figura di indovino e profeta, affinché egli, maledicendo gli Israeliti, ne supportasse l’olocausto, per il quale Balak, da solo, non riteneva avere forze sufficienti.
Balaam accolse i messaggeri e ne accettò il pagamento e gli onori, tuttavia avvertì loro che la richiesta di maleficio sarebbe stata esaudita o meno, secondo gli esiti della rivelazione di Dio, quella stessa notte, in sogno. Jahveh, prevedibilmente, vietò a Balaam la maledizione contro gli Israeliti, poiché essi costituivano proprio il popolo benedetto. Balak di Moab, dopo questo primo rifiuto, inviò altri messaggeri, più autorevoli e promise a Balaam premi ancora maggiori; quest’ultimo perseverò nel rifiuto, sempre demandando alla volontà di Dio la scelta da farsi. Sorprendentemente Dio, stavolta, gli disse di seguire gli ambasciatori verso Moab, ma di fare solo quanto lui gli avrebbe ordinato.
Balaam sellò la propria fedele asina e, accompagnato da due servitori, si mise in viaggio. Ecco che l’Angelo di Dio, brandendo una grande spada, sbarrò la strada al piccolo convoglio. Soltanto l’asinella ebbe la facoltà prodigiosa di poter scorgere l’angelo. Balaam, ignaro, iniziò a percuoterla con violenza, l’asina tentò di deviare ma trovò ancora l’angelo a impedirle il cammino, essa scartò di colpo ed ancora ricevette bastonate, infine, in un punto ancor più stretto del sentiero, l’angelo le si parò nuovamente davanti con la spada sguainata. L’asina così poté solo accovacciarsi, ancora sotto le cieche percosse di Balaam. A quel punto Dio aprì miracolosamente la bocca dell’animale e l’asina interrogò il proprio padrone sulla sua furia, rammentandogli la sua abituale fedeltà; colta con stupore la straordinarietà del fatto, lo stregone-indovino sembrò calmarsi ed ecco che Dio aprì finalmente gli occhi di Balaam, svelandogli la presenza dell’angelo guerriero (Numeri XXII, 32-33).
Balaam giurò allora rinnovata obbedienza all’angelo e, per suo tramite, a Dio. Nel prosieguo della narrazione, nonostante l’insistenza di Balak, il popolo degli Israeliti viene sempre più esaltato e benedetto, in una vertiginosa apoteosi poetica che Balaam, detto infine, assai significativamente, “l’uomo dallo sguardo penetrante” (Numeri XXIV, 3) tributa alle genti di Israele.
Essenziale è che questa nuova consapevolezza, in Balaam, comporta l’ abbandono delle pratiche magiche ed il volgersi a pratiche oracolari. L’asina è una sorta di alter ego inconscio dello stregone, simbolo della sua anima più sensibile e riposta (si rammenti che Balaam, benché riconosciuto nel Pentateuco come profeta, è un non-israelita), e l’episodio segna il punto di svolta del suo innalzamento spirituale e della sua trasformazione dalla stregoneria al misticismo.
Allo stesso modo in Ovidio e in Apuleio, secoli dopo, l’immagine della creatura asinina segnerà la fatale transizione simbolica attraverso cui l’uomo diventa capace di vedere, ascoltare e per questo agire nella verità. Tutta la poetica del racconto biblico è imperniata sul tema sottile della capacità di vedere. Nel nostro dipinto questo tema sacro e magico a un tempo si rivela assolutamente centrale: tirando le due diagonali dagli estremi della grande tela, il centro geometrico e prospettico dell’opera coincide esattamente con l’occhio dell’asina. Piccola e rassegnata, ma dall’espressione sorprendentemente serena, si volge verso il suo aguzzino che, teso in una rabbia incontenibile, alza su di lei il nerbo doloroso. I servi di Balaam osservano attoniti e in disparte e l’angelo, in una nudità insieme aggraziata e superba, sembra carezzare con la mano sinistra il muso nobile e dolce dell’animale, mentre con la destra tiene pronta una spada dalla lama lunga e sottile. Non un accento di rabbia traspare dal suo volto in cui risplende, invece, una bellezza delicata e sovrumana. I calzari dorati e cesellati dell’angelo e il velo trasparente che lo avviluppa, ne esaltano la perfetta anatomia.
Significativi sono i confronti con quelli di medesimo soggetto di altri grandi maestri contemporanei.
Nell’omonima opera di Rembrandt, l’angelo e Balaam paiono due parti opposte e distinte di una medesima inquietante creatura, monstrum da cui l’asina a fatica si salva; l’angelo sembra a stento controllare il precipitare della situazione e nell’ affanno indulge alla minaccia, brandendo la spada, mentre Balaam imperterrito, con il volto simile a una maschera teatrale, continua ad accanirsi con il bastone sull’animale.
Nell’interpretazione di Luca Giordano, si incontra invece la stessa poetica spirituale della visione presente in Vignali; lo sguardo più profondamente umano, ma eroicamente disperato, è infatti proprio quello dell’asina. Il suo occhio, senza dubbio la chiave di lettura dell’opera, permette a Balaam una rinascita inaspettata.
Nella versione di Cecco Bravo, infine, l’angelo non brandisce alcuna spada, poiché la sua vera arma è proprio il verbo, la rivelazione: egli afferra l’orecchio dell’asina e le sussurra dentro ed ella pare trasmettere sonoramente la rivelazione a Balaam, che, ascoltandola, vede.
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