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Niccolò Tornioli (Siena 1606 - Roma 1651)

Carità romana, 1645 – 1646

olio su tela, cm 124,5 x 96

BIBLIOGRAFIA:
G. M. Weston, Niccolò Tornioli (1606-1651). Art and Patronage in Baroque Rome, Roma 2016, pp. 149-150, fig. VIII.

REFERENZE:
Fototeca Federico Zeri, busta 0533, fasc. 2, scheda 53900, con nota autografa di Federico Zeri.

€ 25.000 - € 30.000

Lotto non venduto

Note:
L’episodio raffigurato è citato nei Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo quale exemplum virtutis e paradigma di pietà filiale. L’anziano Cimone, condannato a morire di fame in carcere, viene salvato dalla figlia Pero, che lo nutre di nascosto con il proprio latte. Il tema iconografico di Cimone e Pero, meglio noto come Carità Romana, conosce una fortuna straordinaria nel Seicento grazie alla celebre inclusione nelle Sette opere di Misericordia di Caravaggio. Tema caro ai pittori del caravaggismo internazionale (quali Bartolomeo Manfredi, Antonio Galli, Simon Vouet e Peter Paul Rubens), la Carità Romana raggiunge, nel dipinto qui presentato, un apice di originalità e pathos senza precedenti. Trasferitosi a Roma nel 1635 dopo una formazione senese improntata al caravaggismo raffinato di Rutilio Manetti e Francesco Rustici, Niccolò Tornioli si aggiudica prestigiose commissioni di arte sacra e profana, tra cui la decorazione ad affresco della Sala Rossa in Santa Maria in Vallicella con Episodi della Vita di San Filippo Neri. Verso la metà degli anni Quaranta, l’artista senese, ormai affermato pittore di casa presso il Cardinal Bernardino Spada e il fratello Virgilio, è ricordato dalle fonti come membro della Compagnia dei Virtuosi del Pantheon. Appartiene a questi anni la produzione di opere di carattere erudito e sensuale, concepite per attrarre i collezionisti e mercanti d’arte dell’Urbe. Tra il 1645 ed il 1646 Tornioli vende tre importanti dipinti alla nobildonna bolognese Cristiana Duglioli Angelelli, tra cui la notevolissima Morte di Cleopatra (cfr. F. Curti, Committenza, collezionismo e mercato dell’arte tra Roma e Bologna nel Seicento. La quadreria di Cristiana Duglioli Angelelli, Roma 2007, pp. 80-82). Di gusto affine, la Carità Romana si colloca nel medesimo arco cronologico, ovvero nella piena maturità stilistica del pittore che, sperimentate le peculiarità del linguaggio caravaggesco, vira verso una cifra più squisitamente barocca, vicina alle tavolozze corpose di Giovanni Lanfranco e quasi anticipatrice della pennellata rapida e sicura di Luca Giordano. Nell’affrontare un tema già dipinto in precedenza (Carità Romana, Galleria Spada, Roma), Tornioli sceglie di concentrarsi esclusivamente sul rapporto fisico e psicologico che intercorre tra le figure di Cimone e Pero, superando la schematicità compositiva della prima versione. La raffigurazione dell’episodio si impernia su una serie di raffinati contrasti, ancora di sapore caravaggesco, che contrappongono alla protagonista femminile, giovane, riccamente abbigliata e contraddistinta da una vaghezza pudica, un personaggio maschile anziano, nudo, ed impietosamente incurvato verso il seno della figlia. Alla sopracitata fonte testuale, Tornioli abbina colte citazioni di carattere visivo: la figura di Pero rimanda alla personificazione allegorica della Carità (in ossequio ai dettami prescritti da Cesare Ripa nell’Iconologia), nonché all’immagine della Madonna del Latte (o Virgo Lactans), mentre Cimone desnudo ricorda i caratteri profani di un anziano Giove o del Tevere personificato. La testa del vecchio, caratterizzata da forti contrasti chiaroscurali che esaltano le rughe sulla fronte e le lucenti increspature di barba e capelli, rivela esatte rispondenze con il volto di Aristotele incluso in Gli Astronomi, capolavoro indiscusso di Tornioli (Galleria Spada, Roma). Anche la figura di Pero trova numerosi paralleli nelle figure sacre e profane della produzione matura di Tornioli, reiterando stilemi tipici del pittore senese, quali la resa compiaciuta dei morbidi drappeggi di vestito e copricapo, e l’accentuazione enfatica dell’incarnato, culminante nel rosso squillante delle labbra appena dischiuse. Il carattere di fresca e misurata teatralità del dipinto, il pathos esaltato da una sapiente orchestrazione cromatica e chiaroscurale, nonché la presenza di un pentimento nella resa del pollice della mano sinistra di Pero suggeriscono che il dipinto in esame sia da considerarsi un originale di Tornioli (da cui derivano le due repliche, non autografe, del Musée Bertrand di Châteauroux e del Museu de Montserrat). Questi indizi non sfuggirono all’occhio da conoscitore di Federico Zeri, cui si deve la riscoperta critica di Tornioli, che per primo ha attribuito all’artista senese la paternità di questa splendida Carità Romana. Giulia Martina Weston

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Lotto numero 136, Dipinti Antichi e Arte del XIX secolo Asta 144 e 145


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