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Leopardi
Giacomo
Lettera autografa firmata, 1 p. in 8°, 215 x 155 mm., da Firenze 16 agosto 1827 e indirizzata a Francesco Puccinotti a Macerata, timbri postali al retro, lievi strappetti marginali e fioriture, con qualche incidentale lesione al testo.
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Note:
La lettera si apre con le scuse per il ritardo nella risposta alla sua lettera dovuto a condizioni fisiche disastrose, "travagliato come sono da un'estrema debolezza (o comunque io la debbo chiamare) de' nervi degli occhi e della testa, la quale mi obbliga ad un ozio più tristo assai della morte. Certo è che un morto passa la sua giornata meglio di me. (...)" Nella missiva del 29 luglio, Puccinotti gli chiedeva una copia delle Operette, che aveva visto annunciate; Leopardi gli risponde così: "Crederai che non ho ancora ricevute le copie delle mie Operette speditemi da Milano? tanto bene io sono servito.(...)." Più oltre lo esorta a pubblicare la sua opera media sui temperamenti, di cui avevano tra loro parlato spesso. Le ultime righe aprono uno spiraglio dolente sulle sue condizioni psichiche e mentali: "Sono stanco della vita, stanco della indifferenza filosofica, ch'è il solo rimedio de' mali e della noia, ma che infine annoia essa medesima. Non ho altri disegni, altre speranze che di morire. Veramente non metteva conto i pigliarvi tante fatiche per questo fine. Starò qui fino a mezzo ottobre; poi sono incerto se andrò a Pisa o a Roma. Ma se mi sentirò male assai, verrò a Recanati, volendo morire in mezzo ai miei. Voglimi bene e conservami nella tua memoria (...)".
La condizione di menomazione fisica denunciata ad inizio lettera giunge qui alle sue naturali conclusioni psicologiche: impossibilitato a leggere, a scrivere finanche a pensare per il mal di testa e ma di occhi lacerante, l'unica logica conclusione è pensare alla morte come ultimo ripiego. E neanche la filosofia, in quegli anni la sola sua vera compagna di vita, poteva dargli conforto, in una condizione di menomazione che sentiva essere così preponderante. Sottile la riflessione sulla funzione della filosofia, che da un lato è rimedio alla noia ma che alla fine annoia "essa medesima", come un circolo vizioso in cui si avviluppa il pensiero...senza scampo.
Giacomo Leopardi, Lettere, Milano, Mondadori, 2006, ne "I Meridiani", n.539.
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