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Mario
E.A. [Giovanni Ermete Gaeta]
Bell’insieme composto da 7 lettere manoscritte o dattiloscritte datate 1951-’60, più un Inno, dal titolo “Bandiera Magiara”, datato 9/11/1956,m tutte indirizzate al giornalista Giovanni Artieri.
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Note:
Bellissimo insieme, significativo, di corrispondenze di Giovanni Ermete Gaeta, in arte E.A. Mario, uno dei massimi esponenti della Canzone napoletana della prima metà del Novecento, ed uno dei protagonisti indiscussi della canzone italiana dal primo dopoguerra agli anni cinquanta, sia per la grandissima produzione - dovuta alla sua felice ed inesauribile vena poetica - che alla qualità delle sue opere. Autore della celebre Canzone del Piave.
Tutte le lettere sono centrate su riflessioni acute intorno alla canzone napoletana, al suo declino, ai suoi massimi esponenti, alle sue particolari peculiarità: "ho letto con vivo compiacimento il vostro saggio su Di Giacomo pubblicato nella Nuova Antologia per centenario della nascita del Poeta che, pur non avendo avuto da Madre Natura nere le pupille, scrisse il mirabile verso " 'o nniro 'e lluocchie mieje, bella, vuje site" per la sua Carolina dagli occhi "nire nire" che, viceversa, aveva azzurre le pupille ; e, tuttavia, la sua canzone fu cantata da tutta la gioventù innamorata che a Napoli ha gli occhi neri per antonomasia. Anch'io, nella mia prima canzone d'amore seconda per ordine cronologico, dopo Cara mammà, che mi affermò di schianto, dedicai il mio verso " 'o mare 'e Mergellina e ll'uocchio 'e Rosa" a una Nannina per la quale avevo scritto " 'e ppene meje s'addòrmono - quanno me guardano st'uocchie turchine" e la chiamai Rosa, mentre nessuna Rosa figurò mai nel catalogo delle donne da me amate. (...) Quanto all'accenno nel vostro saggio alle origini libresche del mio dialetto, che definite "lingua fine, ariosa e leggiadra", son sicuro che, approfondendo le indagini sui miei libri o non letti o letti saltuariamente, finirete col rendermi quel che mi spetta: è la seconda volta, per esempio, che mi salutate coi versi di Serenatona che nulla hanno di libresco nella loro enormezza che si ricollega alla lava 'e lluoglio del pizzaiolo e alle tre fiche nove ròtola del motto popolare. E più saprete di me indugiandovi sui miei poemetti biografici come Zi Austino 'A storia 'e Cristo, Gesù e Maria...(...). Tutte le lettere sono infarcite di riflessioni linguistiche, analisi lessicali, commenti e annotazioni sulla sua poesia che diventa Canzone napoletana per melodia di versi e musica. Ma nella lettera del 18 II 1956, l'attualità irrompe con veemenza: "mi è piaciuto il vostro parallelo dei moti ungheresi col '48 napoletano, e mi è piaciuto anche il fatto che di quel moto avete ricordata la narrazione digiacomiana non tenuta in pregio da certi saccentoni. Un altro parallelo ho fatto io nello scorcio della prima decade di questo mese, con una canzone che potrebbe diventar popolare come la Leggenda del Piave se i tempi fossero propizii come quelli della prima guerrra mondiale. Allora era vivo il famigerato Teatro di Varietà, ed era tanto vario che offriva occasioni anche agli innodi. Ora l'iniziativa priva non è più concessa (...)". Allega alla lettera proprio un Inno composto in occasione dei fatti d'Ungheria, dal titolo Bandiera Magiara, una pagina in quarto con tre strofe e un ritornello, dall'incipit: "Attila torna per le vie del mondo: arma i suoi Unni, e va! Stritola patrie, col suo peso immondo, contro la Libertà. Coi suoi millanta carri armati avanza la forza bruta che sovverte e impera, ma a contrastar la barbara baldanza si leva una bandiera. (...)."
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